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KC Ghemme e Bassa Valsesia – Visita alla mostra al Castello di Novara in occasione del “Giorno del ricordo” delle vittime istriane

Sabato 12 febbraio il Club Kiwanis Ghemme e Bassa Valsesia ha organizzato una visita alla mostra allestita al Castello di Novara in occasione del “Giorno del ricordo” delle vittime istriane.
Ci ha accompagnati in questa visita l’ing. Marino Gorlato, esule istriano residente a Novara che, attraverso il racconto della sua vita dalla fanciullezza alla maturità, ha fatto rivivere ai presenti la sua esperienza diretta e la tragica storia di quelle popolazioni, facendo dotti riferimenti alle epoche e alle vicende storiche di quelle terre.
La storia istriana parte da molto lontano. Fu Giulio Cesare a fondare Tageste (Trieste), Pietas Julia (Pola), Julia Parentium (Parenzo). L’imperatore Augusto estese poi i confini fino a Quarnaro creando la “Decima Regio Venetia et Histria” che si estendeva dall’Oglio all’Arsa e dalle Alpi al Po. Trieste fu collegata a Pola e Fiume (Tarsatica) attraverso la via Flavia. Nei pressi di Fiume fu reperita una iscrizione di epoca augustea con le parole “Haec est Italia Diis sacra”. Splendide testimonianze di epoca romana si possono ammirare in tutte le città istriane, da Zara a Spalato, a Trieste, Pola, Fiume.
Tracce della presenza slava si hanno solo nel “Placitum del Risano dell’804 d.C. in quel documento gli istriani chiedono a Carlo Magno, attraverso i suoi messi, di liberarli dei “paganos slavos” “sin autem est mori quam vivere”.
Seppur contrastata dai feudi germanici e dal patriarcato di Aquileia dall’800 d.C. in poi inizia l’espansione di Venezia su tutta la costa adriatica. Nel 1150 il Doge si fregiò del titolo di “Totius Istriae inclitus dominator” portando il leone di San Marco in tutte le località. Tra il 1400 e il 1600 la peste imperversò anche in Istria e nella Dalmazia riducendo drasticamente la popolazione attiva. Venezia per compensare la mancanza di manodopera importò migliaia di slavi, bosniaci e morlacchi, battezzando “Riva degli Schiavoni” il suo attracco principale nel bacino di San Marco. Tutta la regione fu definita Venezia Giulia.
La dominazione di Venezia su quelle terre ebbe fine con il “Trattato di Campoformido” con cui la regione passò all’Austria che ivi regnò fino al 1918, fatto salvo un breve periodo francese del Regno Napoleonico.
La vittoria della grande guerra, a cui parteciparono migliaia di volontari istriani e dalmati (tra i quali Sauro, Filzi, Rismondo), assegnò all’Italia Trento, Trieste, tutta la Venezia Giulia, l’Istria e parte della Dalmazia. Fiume fu annessa nel 1924 dopo l’impresa dannunziana del 12 settembre 1919.
Al termine della seconda guerra mondiale da parte delle potenze vincitrici fu imposto il diktat di pace del 10 febbraio 1947. Fiume, Zara e le isole furono strappate all’Italia e consegnate alla Jugoslavia di Tito.
Trieste (zona A del territorio libero) fu posta sotto amministrazione anglo-americana fino al 26 ottobre 1954, quando finalmente tornò ad essere libera e italiana.
La zona B del trattato di pace (parte nordoccidentale dell’Istria fino al fiume Quieto) rimase sotto amministrazione provvisoria jugoslava fino al 10 novembre 1975 quando con il governo Moro (in odore di compromesso storico) l’Italia con l’ignobile “Trattato di Osimo” rinunciò senza contropartite al suo diritto su quei territori.
Con la disgregazione della Jugoslavia la parte settentrionale dell’Istria fino al fiume Dragogna entrò a far parte della Slovenia, mentre la parte a sud dell’Istria, il Quarnaro e la Dalmazia furono assegnate alla Croazia.
Nei primi anni della seconda guerra mondiale Gli istriani quasi non si accorsero che era in atto un conflitto di così grandi proporzioni. Quella era una zona “calma” quasi un’isola felice. I guai cominciarono dopo l’8 settembre del 1943 con l’epurazione razziale consumata ad opera dei comunisti di Tito che perpetrarono l’eccidio di quasi ventimila italiani condannati con processi sommari e in gran parte infoibati, molti ancora vivi, legati con filo di ferro tra di loro, e l’esodo di centinaia di migliaia di istriani, fiumani e dalmati. In gran parte trovarono rifugio e accoglienza in Italia. A Novara ad esempio fu costruito per loro il “Villaggio Dalmazia”.
Anche dopo la fine del regime jugoslavo con la suddivisione dei territori tra Slovenia e Croazia, fu loro negato ogni diritto. Neanche un mattone confiscato dal precedente regime comunista fu riconosciuto di loro proprietà.
Per anni sono stati taciuti i crimini perpetrati da Tito e dai titini coperti da una complice volontà politica di una parte del nostro apparato governativo, ma in particolare tanto per non fare nomi da Togliatti e da una gran parte del partito comunista. Ma anche altri partiti non si salvano: il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il 2 ottobre del 1969, si spera ignorando quanto era accaduto in quegli anni dopo l’8 settembre 1943, ha conferito a Tito la massima onorificenza italiana nominandolo “Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Uno schiaffo ulteriore alle centinaia di migliaia di italiani depauperati dei loro beni e costretti a sfollare o uccisi sul posto per la sola colpa di essere italiani in territori riconosciuti italiani da migliaia di anni. Come ha raccontato l’ing. Gorlato anche gli slavi che risiedevano in quei territori istriani e dalmati si consideravano italiani a tutti gli effetti, ma avevano la fortuna di avere un cognome slavo e furono in gran parte risparmiati dall’epurazione razziale.
Il “Giorno del ricordo” che si celebra il 10 febbraio di ogni anno vuole appunto ricordare una delle pagine più cupe della storia contemporanea, avvolta in un buio silenzio per tanti anni. Come sono state “nascoste alla storia” per tanti anni le molte vittime inghiottite nelle cavità carsiche per volere del maresciallo Tito e dei suoi partigiani allo scopo di effettuare una pulizia etnica volta all’annientamento della presenza italiana in Istria e Dalmazia.
Tutta questa vicenda denuncia la poca considerazione che in ambito internazionale ha l’Italia. Oltre ai notevoli danni morali e materiali è stata anche beffata più volte. E per ironia della sorte più o meno scientemente è stata data al maresciallo Tito, colui che si era dimostrato il più acerrimo nemico degli italiani, la più grande onorificenza della nostra repubblica.
Il dramma delle foibe e dell’epurazione istriana è emerso in tutte le sue atroci sfumature anche grazie alla tenacia di Licia Cossetto, ghemmese sorella di Norma Cossetto, studentessa istriana che per non aver voluto aderire al movimento partigiano dei titini venne arrestata, sottoposta ad ogni genere di sevizie e gettata ancora viva in una foiba legata con il fil di ferro ad altri italiani.
Solo nel 2001 con Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi verrà pubblicata la relazione della “Commissione storico-culturale italo-slovena” verrà riconosciuto il clima di resa dei conti in cui il regime di Tito operò quegli efferati omicidi.
Il Presidente Ciampi che poi assegnerà a Norma Cossetto alla memoria la medaglia d’oro al merito civile consegnandola con cerimonia ufficiale alla sorella Licia.

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