KC Torino – Giornata patriottica dedicata al “Libano, un paese senza pace”

Il Kiwanis Club Torino ha pensato di dedicare, quest’anno, la tradizionale “giornata patriottica” al Libano. A tal fine, pertanto, nel corso della conviviale del club che ha avuto luogo il 30 ottobre u.s., è stato interessato il Gen. Vittorio Ghiotto per un suo intervento.

La scelta va correlata a due motivi: l’attualità degli avvenimenti che si stanno svolgendo in Medio Oriente e la particolare vicinanza del conferenziere a questo paese martoriato, avendo colà operato in qualità di Comandante del Battaglione Paracadutisti “Folgore” facente parte del Contingente Militare Italiano in Libano negli anni 1983 – 1984.

L’intervento è stato, in sostanza, dedicato all’illustrazione delle sanguinose vicende vissute dal Libano negli ultimi 50 anni, allorché alla guerra civile, protrattasi dal 1975 al 1990 con 150 mila morti, si sono aggiunti quattro interventi di Israele (1978, 1982, 2006 e 2024) come reazione alle minacce portate alle sue frontiere settentrionali.

Come premessa, è stato ricordato come il Libano si caratterizzi per la varietà delle confessioni religiose dei suoi circa 5 milioni di abitanti: cristiano maroniti, ortodossi, latini e mussulmani sciti, sunniti e drusi, per citare solo quelle più importanti (ve ne sono ben 18).

Nella prima parte del secolo scorso, alla componente cristiano maronita, filo francese ed orientata al mondo occidentale, era affidata la conduzione del Paese, sebbene quella mussulmana, di giorno in giorno sempre più consistente, rivendicasse il suo ruolo nella società.

Fino agli anni ’70 del secolo scorso, dunque, il Libano godette di un grande sviluppo economico, sociale e culturale tanto da venir considerata la “Svizzera del Medio Oriente”.

I guai cominciarono con la diaspora, da Israele e dalla Giordania, della popolazione palestinese, che in massa si riversò nel Libano, dando vita, nel tempo, ad un vero e proprio Stato nello Stato con una sua componente militare, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), i cui vertici politici e militari risiedevano nei campi profughi a sud di Beirut.

La guerra civile libanese, protrattasi per 15 anni, alla serie di cause interne si aggiungevano quelle esterne: al contrasto politico e settario tra le varie componenti confessionali l’intento dei paesi vicini a perseguire i propri interessi in tema di sicurezza.

Nel 1978 si verificavano violenti scontri tra milizie falangiste e profughi palestinesi con l’aggiunta di un intensificarsi delle attività anti israeliane condotte dall’OLP nel sud del Paese. Come conseguenza, Israele procedeva all’Operazione “Litani” volta a creare una zona cuscinetto, sicura da minacce, tra la sua frontiera nord ed il fiume Litani. Per porre fine alle ostilità veniva costituita la United Nation Interim Force In Lebanon (UNIFIL) con il compito di verificare il ritiro dal Libano delle forze israeliane ed assistere il governo libanese nel ristabilire la propria autorità nell’area.

Nell’estate del 1982 alla ripresa della minaccia dell’OLP, Israele reagiva con l’Operazione “Pace in Galilea” che si concretava nell’ occupazione del Libano meridionale e successivamente anche di Beirut dove si erano asseragliate le forze palestinesi. Per mettere fine alle ostilità veniva costituito un Contingente Militare Internazionale (USA, Francia ed Italia) con il compito di proteggere l’evacuazione dei palestinesi da Beirut e garantire la protezione dei campi profughi. A tal fine l’Italia impiegava il II Battaglione Bersaglieri “Governolo” forte di 500 uomini al comando del Ten. Col Bruno Tosetti. Terminata la missione, durata solo due mesi, il contingente veniva ritirato.

Allorché le milizie maronite, come ritorsione all’uccisione del Presidente Bashir Gemayel, si resero responsabili dell’uccisione di oltre un migliaio di palestinesi, nell’autunno del 1982, si decideva, sotto la spinta di un’opinione pubblica scioccata, il ritorno in Libano del Contingente Militare Internazionale con il compito di mantenere la pace tra le fazioni in lotta, di promuovere la ricostruzione del paese, di proteggere la popolazione e di ristabilire la sovranità del governo libanese. L’Italia inviava un contingente di 2300 uomini al comando del Generale Franco Angioni e comprendente paracadutisti, marò del San marco e bersaglieri.

Tuttavia, dopo una serie di gravi attentati, tra cui quello che distrusse buona parte dell’Ambasciata degli Stati Uniti facendo 63 vittime delle quali 17 americani e quello alle basi dei contingenti americano e francese che causò la morte di 240 marines e 50 legionari francesi, la forza multinazionale, nell’autunno del 1984, fu ritirata.

Nel 2006, a seguito dell’attacco condotto da parte di Hezbollah (componente mussulmano scita sorta nel 1982 ed irrobustitasi nel 1993 dopo la dissoluzione dell’OLP) a propri militari, Israele procedette ad operazioni terrestri limitate ed a bombardamenti nella periferia sud di Beirut. In concomitanza dell’approvazione, da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, della risoluzione 1701 i compiti di UNIFIL vennero estesi: monitorare la cessazione delle ostilità, ripristinare l’autorità del governo nel sud del paese, prevenire la ripresa delle ostilità mantenendo tra la blu line ed il fiume Litani un’area cuscinetto “libera da personale armato che non fosse quello dell’Esercito libanese”. Compito, quest’ultimo, sostanzialmente, non portato a termine a causa della riluttanza dell’Esercito Libanese ad intervenire contro Hezbollah, importante componente della vita politica del Libano.

Dei fatti di questi ultimi tempi (attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ritorsione contro Gaza, successivi interventi di Hezbollah e dell’Iran con le reazioni di Israele anche a sud del Libano), i mass media continuano a tenerci ben informati. L’unica incognita è quella di come e quando la guerra in corso finirà.

Il Gen. Ghiotto, a conclusione del suo intervento, a voluto fare una sua personale riflessione frutto delle sue esperienze sul campo: cioè che dovrebbe essere esercitata grande prudenza nel prendere decisioni circa l’impiego di forze militari in operazione di “peace keeping” che, contrariamente a quello che si pensa, finiscono per rivelarsi, nella maggior parte dei casi, operazioni di vera e propria guerra con tutti i rischi e le perdite che essa comporta.

Prima di prendere una di queste decisioni sarebbe, infatti, auspicabile venissero attentamente valutati oltre che i rischi in termini umani ed i costi economici, anche le prospettive future nonché i conseguenti concreti benefici che l’Italia ne potrebbe trarre.